Da ministro dell’Istruzione in Afghanistan a rifugiato in Svizzera: la storia di Samad

Samad è un amico delle Missionarie Secolari Scalabriniane, conosciuto a Solothurn in Svizzera. Come con tanti migranti ci si incontra nei momenti più critici, a poco tempo dall’arrivo in terra straniera, quando la ferita del lasciare è fresca, le incertezze dovute ai permessi di soggiorno tante e il bisogno di condividere la strada con qualcuno importantissimo. Con Samad è stato così: dai primi passi attraverso tante tappe diverse l’amicizia è cresciuta, si è rafforzata e la sua testimonianza, che da subito ha fatto bene a noi, col tempo è diventata un regalo per tanti giovani, un aiuto a riflettere, a stimare ogni momento della vita, anche i più duri e a sperare sempre, perché l’amore attraversa la storia sempre, comunque, e la sta portando.

Samad, vuoi presentarti?

Mi chiamo Samad Qayumi. Sono nato e cresciuto a Kabul, Afghanistan, dove ho anche compiuto i miei studi universitari laureandomi in ingegneria. Ho lavorato nel settore petrolifero in Iran e, poi, di nuovo nel mio paese, sono stato assunto in un’impresa di Mazar-e-Sharif che produceva concimi e dava lavoro a 3000 persone. Da ingegnere capo sono diventato vice direttore e poi direttore di questo impianto. Ho sempre cercato di svolgere bene il mio lavoro e di avere ottimi rapporti con tutti.

Come sei arrivato a ricoprire responsabilità politiche?

Inaspettatamente, nel 1982 ho ricevuto un telegramma dal primo ministro del governo, con l’invito a recarmi a Kabul. Si trattava della mia nomina a responsabile di tutte le province, incarico che ho svolto per quattro anni. Quando sorgevano dei problemi in campo scolastico, sanitario, agricolo, edilizio o altro, venivo contattato e con il ministro competente cercavo di trovare una soluzione.

E poi il salto nel mondo della formazione…

In seguito, sono stato nominato ministro dell’istruzione. In questo ruolo mi sono occupato soprattutto della costruzione e del miglioramento delle scuole del nostro paese. Ho sempre pensato che l’educazione fosse fondamentale per il futuro dell’Afghanistan. Per prepararmi meglio a questo compito ho fatto il dottorato in pedagogia. Il lavoro era immane perché il sistema educativo era arretrato e anche perché i fondamentalisti erano molto attivi e continuavano a distruggere gli edifici scolastici e a uccidere gli insegnanti.

Cosa ha cambiato il corso della tua storia?

Nel 1989 sono stato nominato di nuovo responsabile delle province e sono rimasto in carica fino a quando, nel 1992, i mujhaiddin sono saliti al potere. Sei milioni di afgani sono stati costretti a lasciare il paese. Anch’io sono dovuto fuggire con la mia famiglia nello spazio di due ore, lasciando tutto. Altri membri del governo erano già stati uccisi. Per due mesi siamo rimasti alla frontiera in Pakistan, sperando in un miglioramento della situazione. Poi abbiamo lasciato il paese e, con due dei nostri tre figli, siamo arrivati in Svizzera. Avrei preferito andare in Germania, ma allora per i trafficanti che organizzavano la fuga era più facile portare i richiedenti asilo in Svizzera.

Arrivati in Svizzera avete potuto rifarvi una vita?

Una volta in Svizzera, ci siamo sentiti finalmente al sicuro. Però, per sei anni e mezzo, mentre la nostra domanda di asilo veniva esaminata, non abbiamo potuto né studiare, né lavorare: dovevamo vivere del sostegno statale. Ci chiedevamo: “Quando terminerà la nostra attesa?”. È stato un tempo molto difficile. In Afghanistan non avevo né tempo libero, né ferie e qui di colpo mi sono trovato senza alcuna occupazione… Mia moglie in Afghanistan era insegnante. Ogni giorno pensava ai suoi scolari e piangendo si interrogava sulla loro sorte. Ha avuto dei momenti di depressione.

Come hai fatto a resistere?

Vivere senza avere un lavoro da svolgere può portare a perdere la fiducia in sé stessi, a non sapere più se si è in grado di fare qualche cosa. In quegli anni, nel lungo tempo di inattività a cui sono stato costretto, ho letto il Corano e la Bibbia e sono riuscito a vivere quel periodo senza rabbia e rancore grazie alla fede e alla preghiera: ho sempre creduto che Dio non mi avrebbe abbandonato. Nella lettura del Vangelo mi ha affascinato particolarmente la risposta di Gesù alla domanda dei discepoli sul comandamento più grande: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Amatevi come io vi ho amato”.

Poi qualcosa è migliorato?

Dopo più di sei anni di attesa, finalmente è arrivata la risposta positiva alla nostra richiesta di asilo e da quel giorno mi è stato detto che dovevo subito trovare lavoro, ma non è stato facile. Dopo i primi tentativi di ricerca di un impiego, all’ufficio di collocamento mi hanno chiesto per quanto tempo ancora volevo vivere alle spalle degli altri. Mi sono presentato in tanti posti, ma quando mi chiedevano cosa avessi fatto prima, ricevevo sempre delle risposte negative. Non ho smesso di cercare, però, perché per un uomo è importante poter fare qualcosa con e per gli altri. Dopo tre anni, un giorno mi è capitata l’occasione di fare domanda per un impiego come portinaio nel condominio dove abitavamo. La prima volta che ho tagliato l’erba del prato, mia moglie si è messa a piangere. In seguito, siccome il lavoro era tanto, anche lei ha cominciato ad aiutarmi. Questo ha cambiato persino le relazioni con i vicini: prima erano molto distanti, ci evitavano e poi hanno cominciato a parlare e ad intrattenersi con noi. 

Più tardi, ho ottenuto un impiego come custode in un museo storico di armi e corazze. Ma grazie alle mie conoscenze e abilità tecniche dopo due anni sono diventato restauratore di armature antiche.

E la tua storia è diventata una testimonianza preziosa per tanti giovani…

Proprio In quegli anni ho conosciuto il Centro Internazionale di Formazione (IBZ) “G.B. Scalabrini” di Solothurn e ho cominciato a collaborare con le missionarie secolari scalabriniane nel lavoro di sensibilizzazione e di formazione dei giovani. Ho potuto presentare la mia esperienza e le mie riflessioni a numerosi studenti universitari, specialmente delle facoltà di pedagogia e di giurisprudenza, o a gruppi di ragazzi di varie nazionalità che partecipano agli incontri internazionali. I temi di cui parlo sono in genere la situazione dell’Afghanistan, la condizione di vita dei richiedenti asilo e rifugiati, ma anche la mia personale testimonianza di vita, i valori che fin dalla mia giovinezza mi hanno guidato.

Spesso dico ai giovani che è importante avere molta pazienza ed essere pronti a fare il primo passo verso l’altro. L’amore fa crescere l’altro ed è la chiave per costruire la pace. Chi ama fa tutto per l’altro. Chi non ama distrugge, arriva all’odio e alla guerra. Attraverso l’amore si può perdonare, superare l’odio ed essere felici.

Leggi anche l’articolo con video sui Centri Internazionali delle Missionarie Secolari Scalabriniane: