Chaire Gynai: “benvenuta, donna”, il progetto di accoglienza per donne rifugiate delle suore scalabriniane a Roma
“Chaire Gynai”, ovvero “Benvenuta, salve donna”. Si chiama così il progetto di semiautonomia, voluto da Papa Francesco, per donne rifugiate con bambini e donne migranti in situazione di vulnerabilità, avviato a Roma dalle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane nel 2018. Il nome è stato scelto per esprimere la gioia nell’accoglienza: è lo stesso saluto che l’angelo Gabriele porta a Maria e che Gesù risorto rivolge alle donne.
Nella casa gestita dalle Suore Scalabriniane, in collaborazione con le Suore Oblate del Santissimo Redentore, le donne rifugiate trovano una famiglia dove possono iniziare a ricostruire la propria vita. Suor Eleia Scariot, missionarie scalabriniana, direttrice del progetto fino al 2021, racconta: “La base è il riscatto della speranza: le donne ricevono aiuto e accompagnamento umano e professionale, vivendo esperienze di convivenza, di divertimento e di spiritualità. È importante ricostruire la stima di loro stesse, spesso ferita durante il viaggio migratorio. Queste donne e i loro figli possono e vogliono contribuire alla costruzione di una società diversa, qui nel territorio dove sono inserite”.
La psicologa del progetto, Raffaella Bencivenga, spiega: “Il nostro scopo è quello di accompagnarle verso l’autonomia, renderle pronte per la vita fuori. Quando si esce dai centri d’accoglienza, molto spesso non si sa dove andare, non ci si può permettere un affitto o si lavora in nero. Dopo tutto quello che hanno passato per arrivare fin qui, va ricostruita la loro identità. Scriviamo insieme un programma personalizzato che ha come obiettivo quello di trovare una casa e sostenersi economicamente. Noi le aiutiamo a imparare meglio l’italiano, a prendere la patente di guida, a trovare un lavoro più stabile”.
La casa ospita 12 donne con i loro bambini per un periodo che va dai 6 mesi a un anno e fino a che non abbiano raggiunto una completa autonomia e integrazione. Sono accolte persone che hanno già il riconoscimento dello status di rifugiate in Italia o che stanno per ottenere i documenti, parlano italiano e hanno un lavoro o un tirocinio.
Reham è una ragazza ventenne, scappata dalla Siria quattro anni fa con la madre, la sorella sordomuta e i due fratelli. La sua scuola è stata bombardata e lei ha dovuto tirare fuori dalle macerie i cadaveri dei suoi compagni. Quando è arrivata a casa “Chaire Gynai”, aveva un blocco con la lingua italiana e aveva ormai accantonato il sogno di laurearsi. Ha iniziato a seguire un tirocinio come pizzaiola, ha fatto le pulizie in un asilo, ha consegnato i pacchi, finché non ha trovato il coraggio di riprovarci di nuovo. Insieme all’equipe di Chaire Gynai, ha cercato una borsa di studio e con tanta fatica e impegno, Reham è riuscita a vincerla. Oggi studia economia all’Università di Trento e fa anche la mediatrice culturale. “Con questo progetto ho scoperto che potevo ancora sognare e credere nelle mie possibilità”, racconta.
“La cosa più bella del mio lavoro”, continua Raffaella, “è vedere la resilienza di queste donne. Noi qui siamo il loro specchio: mostriamo le capacità che loro stesse ci dimostrano, ma che non si riconoscono. Assistiamo a dei miracoli semplicemente ricordando loro cosa hanno passato fin qui. Ci dicono: “è vero, ho superato questo e posso superare anche questa prova”. Riescono così a vedere la realtà con un altro sguardo”.
Come è successo ad Aisha (nome di fantasia), mamma di una bambina di quattro anni. Quando è arrivata, non voleva più uscire dalla camera, vedeva solo il buio davanti a sé. L’equipe di Chaire Gynai ha pensato di inserirla a casa di una famiglia italiana. È stata accolta da una mamma con un figlio maggiorenne e in questa dimensione familiare ha ritrovato se stessa. Oggi ha un lavoro a tempo indeterminato e vive con la sua bambina in un appartamento in affitto.
A Chaire Gynai si accolgono anche donne vittime di tratta, come Joel (nome di fantasia), arrivata in Italia dalla Nigeria e costretta a prostituirsi sulle strade della Capitale. Ha trovato il coraggio di denunciare i suoi sfruttatori ed è scappata. È stata accolta dalle suore scalabriniane e ha iniziato a lavorare come cameriera in un ristorante. Proprio lì, il suo datore di lavoro l’ha molestata. “Troppe donne stanno zitte, io voglio parlare”, ha detto a Raffaella. Joel è stata accompagnata a livello legale e psicologico e oggi è finalmente indipendente economicamente.
“Per noi lavorare con i migranti è una grande grazia che conferma la nostra missione”, spiega suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane. “Accogliere, proteggere, promuovere, integrare sono i quattro verbi guida per Papa Francesco e sono i quattro verbi che guidano le nostre scelte pastorali, perché nessuno deve sentirsi straniero, tutti siamo figli e figlie dello stesso Padre. Il mio ringraziamento va al Santo Padre, alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica con il Dicastero della Santa Sede per il Servizio dello Sviluppo umano integrale (Sezione migranti e rifugiati), all’UISG (Unione Internazionale Superiore Generali) che sostengono Chaire Gynai”.